Di fronte alla malattia di Parkinson, il nostro stile di vita quotidiano – ciò che mangiamo e l’aria che respiriamo – potrebbe avere un impatto molto più significativo di quanto immaginassimo. Due recenti studi internazionali, pubblicati su Neurology e npj Parkinson’s Disease, rivelano come alimentazione e inquinamento atmosferico possano aumentare il rischio di sviluppare questa grave patologia neurodegenerativa.
Il Parkinson: una malattia più diffusa di quanto si pensi
La malattia di Parkinson colpisce circa 10 milioni di persone nel mondo, 309.000 dei quali in Italia con una prevalenza in costante crescita dovuta sia all’invecchiamento della popolazione sia al miglioramento delle diagnosi. È una patologia progressiva del sistema nervoso centrale, che compromette le funzioni motorie e cognitive. Nonostante la sua notorietà, la causa esatta del Parkinson rimane sconosciuta, anche se si ritiene sia il risultato di un’interazione complessa tra fattori genetici e ambientali.
Studio 1 – Neurology: Il lato oscuro del cibo “fast”
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Atene e della Columbia University ha recentemente pubblicato su Neurology uno studio che analizza il legame tra dieta e sintomi precoci del Parkinson. Il titolo è eloquente: “Fast food, slow damage”, ovvero “Cibo veloce, danno lento”.
Il team ha monitorato 42.874 adulti per oltre un decennio. I partecipanti, la cui età media era di 47,8 anni all’inizio dello studio, hanno compilato tabelle alimentari dettagliate, indicando la frequenza con cui consumavano cibi come hamburger, patatine, dolci confezionati, snack, latte di soia, popcorn, bevande zuccherate e alcol. I ricercatori hanno poi incrociato questi dati con la comparsa di segni prodromici del Parkinson, ovvero quei sintomi precoci che possono precedere di anni la diagnosi ufficiale: stipsi cronica, depressione, disturbi del sonno REM, perdita dell’olfatto.
Il risultato? Coloro che consumavano le maggiori quantità di cibo ultraprocessato avevano una probabilità 2,47 volte maggiore di sviluppare almeno tre segni prodromici della malattia. Nessuna delle altre variabili esaminate – né l’attività fisica, né il fumo, né l’indice di massa corporea – ha mostrato una correlazione così forte. Il dato è particolarmente allarmante perché indica che non è un singolo alimento a fare danno, ma le caratteristiche generali di questo tipo di cibo: alta densità calorica, basso valore nutrizionale, presenza di additivi e conservanti.
Gli ultraprocessati e il cervello: qual è il meccanismo?
I ricercatori ipotizzano che questi alimenti alterino il microbiota intestinale, favoriscano l’infiammazione sistemica e inducano stress ossidativo nel cervello, accelerando i processi neurodegenerativi. Altri studi recenti hanno già collegato i cibi ultraprocessati allo sviluppo di demenze, Alzheimer e declino cognitivo, ma questa nuova ricerca li lega direttamente anche al Parkinson, e in fase precoce.
Un editoriale di accompagnamento firmato da neurologi di università in Cina, USA e Brasile ha sottolineato l’importanza di promuovere strategie di salute pubblica per limitare l’assunzione di questi prodotti, ormai onnipresenti anche nei paesi mediterranei.
Studio 2 – Nature Parkinson’s Disease: L’aria che respiriamo
Mentre lo studio greco-americano si concentra su cosa mettiamo nel piatto, un team italiano guidato da Alessandro Gialluisi dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli ha analizzato un altro potente fattore di rischio: l’inquinamento atmosferico da PM10.
Pubblicato su npj Parkinson’s Disease (gruppo Nature), lo studio ha preso in esame 24.400 residenti del Molise, incrociando i dati clinici con mappe dettagliate sull’inquinamento locale. I ricercatori hanno calcolato l’esposizione individuale al particolato PM10 – minuscole particelle solide e liquide sospese nell’aria, prodotte da traffico, combustione e polveri da cantieri.
Un aumento del rischio del 18% per ogni microgrammo di PM10
Il risultato chiave è questo: ogni incremento di 1 µg/m³ di PM10 è associato a un aumento del rischio di Parkinson del 18%. Un effetto indipendente dal tipo di dieta, dal fumo o dal BMI. Questo significa che anche chi mangia bene, fa sport e non fuma è esposto, se vive in una zona molto inquinata.

Cosa provoca il PM10 al cervello?
Il meccanismo alla base del danno sembra essere l’accumulo di α-sinucleina, una proteina che in condizioni normali aiuta il funzionamento dei neuroni, ma che in forma aggregata è tossica e tipica del cervello parkinsoniano. Il PM10, secondo il team italiano, scatena una neuroinfiammazione che favorisce l’accumulo di questa proteina.
Uno degli aspetti più interessanti dello studio è il legame con le lipoproteine, in particolare il colesterolo LDL (quello “cattivo”). Questo facilita il passaggio della α-sinucleina legata all’HDL (colesterolo “buono”) attraverso la barriera ematoencefalica, amplificando il danno cerebrale.
“Il nostro lavoro dimostra che fattori ambientali apparentemente invisibili come l’aria inquinata possono giocare un ruolo decisivo nella genesi del Parkinson,” spiega il professor Alfredo Berardelli della Sapienza, tra i firmatari dello studio. “E svela nuovi meccanismi biologici che potranno orientare anche strategie terapeutiche future.”
Dieta mediterranea e inquinamento: serve di più
L’Italia, patria della dieta mediterranea – dichiarata dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità – è relativamente protetta sul fronte alimentare. Ma le città italiane sono tra le più inquinate d’Europa: Milano, Torino, Roma, Napoli superano regolarmente i limiti di sicurezza per il PM10. E il recente “bonus facciate”, ironia della sorte, ha aumentato i cantieri e le polveri sottili nei centri storici.
Gli scienziati invitano quindi a non adagiarsi sul mito della dieta mediterranea: mangiare bene non basta, se si vive in un contesto urbano saturo di smog.
Le implicazioni: un cambiamento di paradigma
Questi due studi rappresentano una svolta importante nel campo della prevenzione neurologica. Fino a poco tempo fa, il Parkinson veniva visto principalmente come una malattia “genetica” o “casuale”. Ora invece sappiamo che le nostre scelte quotidiane, il contesto in cui viviamo, i cibi che consumiamo e le città in cui ci spostiamo possono incidere profondamente sul nostro destino neurologico.
Non è solo una questione personale, ma collettiva. Se vogliamo ridurre l’incidenza del Parkinson – e delle malattie neurodegenerative in generale – dobbiamo agire su più fronti: informazione, educazione alimentare, urbanistica sostenibile e politiche ambientali.
Conclusione: il futuro si costruisce oggi
Il messaggio è chiaro: ciò che mettiamo nel carrello della spesa, l’aria che respiriamo mentre andiamo a lavoro, la qualità dell’ambiente urbano, sono determinanti biologici della salute cerebrale.
Sottovalutare l’impatto di fattori ambientali e alimentari significa ignorare l’evidenza. La ricerca ha parlato: il Parkinson può essere in parte prevenuto. Sta a noi, come individui e come società, fare la nostra parte.