Ci sono specchi che non riflettono solo il viso: mostrano insicurezze, paragoni, sogni incerti. Nella vita di un ragazzo oggi, uno di questi specchi è lo smartphone, le app e i social media. Cosa accade quando passiamo troppo tempo davanti a questi riflessi digitali? Uno studio recente pubblicato su Nutrients (settembre 2025) esplora proprio questa tematica, analizzando come il consumo di social media (SM) sia associato al rischio di disturbi alimentari negli adolescenti.
Che cosa hanno trovato gli autori
Lo studio ha coinvolto 115 studenti spagnoli tra i 12 e i 17 anni, con un questionario che valutava: uso dei social media, immagine corporea, autostima, abitudini alimentari.
Ecco alcune evidenze che emergono:
- Il 45,2% del campione è risultato a rischio sviluppo di comportamenti alimentari disordinati.
- Le ragazze mostrano un’esposizione superiore rispetto ai ragazzi: più della metà delle femmine sono nel gruppo a rischio.
- Chi passa oltre 3 ore al giorno sui social media ha un rischio molto più elevato (OR ≈ 5,5) rispetto a chi ne fa uso ridotto.
- Bassa autostima e insoddisfazione corporea sono fortemente collegate al rischio. In particolare, scarsa accettazione del proprio corpo mostrano probabilità molto alte di disturbi alimentari associati.
Perché i social media possono essere pericolosi
I social media siano “cattivi” di per sé. Ma agiscono come amplificatori:
- Mostrano modelli estetici ideali, spesso filtri, ritocchi, immagini curate che non riflettono la realtà quotidiana.
- Permettono il confronto costante, che può far sembrare la propria immagine o il proprio corpo “inadeguato”.
- Spesso i ragazzi cercano consigli, contenuti su dieta ed esercizio fisico che sembrano salutari, ma che possono invece rinforzare ossessioni, ideali irrealistici o incoraggiare comportamenti non salutari. Lo studio segnala che chi si nutre di contenuti riguardanti fitness o alimentazione ha un rischio maggiore di sviluppare idee ossessive legate al corpo.
Un’immagine utile: fa finta che la tua mente sia una radio con molti canali. I social media accendono continuamente il canale “ideal body”, che trasmette messaggi tipo “devi essere così”, “devi apparire così”. Se sei in ascolto attivo e non hai filtri, quel canale diventa preponderante.
Limiti dello studio: quanto possiamo fidarci
Naturalmente, nessuna ricerca è perfetta, e questo studio non fa eccezione. Ecco cosa tenere a mente:
- È uno studio osservazionale e trasversale: rileva associazioni in un momento preciso, ma non può stabilire con certezza che l’uso dei social media causi i disturbi alimentari (potrebbe essere il contrario, o entrambi influenzati da terzi fattori).
- Il campione è limitato: una sola scuola, una zona geografica specifica, e partecipanti che probabilmente hanno condizioni socio-economiche e culturali omogenee. Ciò limita la generalizzabilità dei risultati.
- Autosegnalazione: i dati vengono raccolti tramite questionari che chiedono ai ragazzi di valutare sé stessi (quanto usano i social, quanto sono soddisfatti del corpo, ecc.). Questo può introdurre bias, errori di memoria o desiderio di apparire in un certo modo.

Implicazioni: che cosa possiamo fare
Lo studio suggerisce che parlare di disturbi alimentari non è solo una questione medica, ma sociale, educativa, psicologica. Ecco alcune idee di come usare queste informazioni:
- Educazione digitale e media literacy
Insegnare ai ragazzi (e alle famiglie) a riconoscere i contenuti manipolati, a distinguere realtà e finzione, a limitare il tempo passato sui social per evitare di vivere in modo ossessivo il confronto. Lo studio stesso sottolinea la necessità di programmi nelle scuole che affrontino l’immagine corporea, l’autostima e l’uso critico dei social media.
- Supporto psicologico precoce
Identificare segnali di rischio — bassa autostima, insoddisfazione corporea — e offrire interventi di counseling o gruppi di sostegno prima che la situazione degeneri.
- Coinvolgere genitori, educatori e comunità
Non lasciare che il ragazzo o la ragazza si sentano soli. Famiglia, insegnanti e amicizie possono giocare un ruolo protettivo se sono consapevoli del problema e aperti al dialogo.
- Regole e limiti personali
Alcune strategie utili: definire orari “senza schermo”, fare pause digitali, non paragonarsi continuamente con contenuti idealizzati. Chiedersi: “Questo contenuto mi fa stare bene o no?”
Domande aperte e riflessioni personali
- Perché molti adolescenti si sentono “inadeguati” dopo aver passato mezz’ora su Instagram, anche se non hanno fatto nulla di male?
- È possibile che la cultura del corpo perfetto sia diventata una specie di religione non dichiarata, con proprie norme, riti e sanzioni sociali?
- Qual è la responsabilità dei creatori di contenuti, degli influencer, delle piattaforme stesse nel modulare cosa diventa popolare?
- E se uno spettro di bellezza autentica, imperfetta, avesse più impatto reale come messaggio che l’ennesima immagine ritoccata?
Conclusione: riflettere oltre lo specchio
In definitiva, questo studio non è solo statistica, numeri, tabelle. È uno specchio che ci chiede: che tipo di riflesso vogliamo offrire ai giovani?
La salute non è solo il peso, non è solo l’immagine. È amore per se stessi, accettazione, comunità, comprensione. Forse la vera guarigione non è togliere lo specchio, ma cambiare il tipo di immagine che riflette, illuminarla con gentilezza, verità e compassione.
Che possano i ragazzi imparare non solo a vedersi, ma a riconoscersi. Che possano guardarsi e non chiedersi “Devo essere diverso?”, ma “Sono accettabile, così come sono?”.
E che noi, come società, aiutiamo a costruire specchi che riflettano speranza, autenticità, valore intrinseco — non standard irrealistici. Perché ogni persona merita di guardare lo specchio e sorridere, non perché conforme, ma perché esiste.





