Dolcezza negata? 

Quando Anna si svegliava al mattino con l’eco terribile delle sirene antiaereo impresse nella coscienza, il primo suono era quello della madre che scioglieva lo zucchero nell’acqua calda. Il cucchiaino roteava nel bicchiere di vetro tintinnante. Eseguiva quel rito con cura, come se ogni granello fosse una promessa di pace disciolta.

Quello zucchero, concesso col contagocce dai razionamenti governativi, era, per quel piccolo nucleo, il cuore pulsante. Serviva per il tè, per il pane bruciacchiato sulla stufa, e a volte solo per addolcire le giornate fuligginose della guerra. Non ce n’era sempre, di zucchero s’intende. “Domani ne avremo di nuovo,” ripeteva la mamma, anche quando non era vero. 

Anna non ha mai dimenticato il sapore dell’acqua calda e della teiera di alluminio con lo zucchero. Un gusto capace di allontanare il tanfo della miseria. 

Anni dopo, la scena è la stessa, cambiano gli arredi e il contesto: la pace dura da almeno 60 anni, la storia si è arresa. Seduta di fronte c’è Giulia e ha 3 anni. La bambina fissa le sue mani con lo stesso sguardo serio e attento che Anna ha avuto da bambina. Sul piatto una fetta di torta al cioccolato che il vicino ha portato per festeggiare qualcosa, chissà cosa ma non importa, è stato comunque un gesto carino. 

“Non mi piace” dice Giulia e spinge il piatto lontano. Anna ride. “Non ti piace la torta?” “No. È troppo dolce.” 

Sai quando le frasi aprono porte chiuse a doppia mandata? Ecco è successo stavolta. C’è qualcosa di magico in quella frase balbettata. Qualcosa che Anna non riesce a spiegare e a spiegarsi. Poi un flash: durante la gravidanza, Anna ha seguito i consigli del dottor Evans. Un uomo molto magro, con mani che sembravano di carta di riso e un sorriso che si accendeva solo quando parlava di scienza e prevenzione. 

“Lo zucchero non è solo una questione di carie,” aveva detto a un gruppo di puerpere nel centro medico del quartiere. “È una questione di futuro. Di equilibrio. I vostri figli sono come alberi appena piantati. Se li annaffiate con troppo zucchero, cresceranno storti e un albero storto non può essere raddrizzato facilmente.” 

Anna aveva seguito il consiglio alla lettera. Niente bibite zuccherate e colorate, niente dolcetti, niente cibi industriali. “Nei cibi industriali c’è un sacco di zucchero e porcherie” aveva detto il Dottore. Anna aveva addirittura rinunciato al suo amatissimo tè dolcissimo, visto che di zucchero ci si poteva rimpinzare. La guerra è finita andate in pace. 

La scelta non era stata facile, non tanto per lei e le sue convinzioni, sono state le convenzioni quelle più ostiche. Le amiche le dicevano che era un’esagerazione. “Un po’ di dolce non ha mai fatto male a nessuno,” ripeteva Clara ogni qualvolta si apriva il discorso, ingoiando il suo quarto biscotto inzuppato. 

Anna aveva imparato a non rispondere più, era controproducente. Ma in cuor suo sapeva che Evans aveva ragione. 

Poi c’era stato quel giorno, anni dopo, in cui aveva letto un articolo sul giornale. Parlava di un esperimento naturale accaduto in Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale. Il razionamento degli zuccheri aveva reso difficile, quasi impossibile, consumare dolci. Lei se lo ricordava benissimo. Le madri di quel periodo avevano allevato figli con diete molto povere. E quegli stessi figli, ora adulti, erano risultati più sani: meno diabete, meno ipertensione, e altri malanni vari. Era come se i loro corpi avessero imparato, fin dall’inizio, a vivere con meno. 

Anna aveva chiuso il giornale e immaginato Giulia, la figlia che doveva ancora progettare, che giocava sul pavimento. “Sei uno di quegli alberi,” pensò. “Cresci dritta, cresci forte.” 

Ma la tentazione arriva puntuale, questa volta sotto la forma di una festa di compleanno di un’amichetta. Cappellini di carta, fischietti, stelle filanti, baccano e la tavola imbandita da un tripudio di dolci: torte, caramelle, succhi di frutta, bibite gassate. Anna si sente travolta da una specie di senso di colpa. E se avesse privato sua figlia di un pezzo d’infanzia? 

“Posso assaggiare mamma?” le chiede Giulia, indicando una ciotola di gelatina rossa. 

“Certo,” rispose Anna, cercando di sembrare disinvolta. 

La piccola assaggia un cucchiaio. Poi un altro mezzo e lo posa sulla tovaglia di carta. “Non mi piace,” dice. Un’altra porta spalancata verso la consapevolezza. 

Giulia è una giovane donna, e Anna le racconta di quegli anni in cui aveva deciso di fare scelte difficili per il suo bene. Giulia ascolta con attenzione, le cose le ha già sentite ma le fa piacere riascoltare senza interrompere, interpreta con gioia il suo ruolo di figlia. 

“Pensi che sia servito?” chiede Giulia, guardando sua madre negli occhi. 

Anna annuisce convinta. “Credo di sì. Ma non si tratta solo dello zucchero. Si tratta di come iniziamo. Di come costruiamo le basi. La dolcezza della vita non viene da quello che mettiamo in bocca. Viene da ciò che portiamo nel cuore.” 

Non è solo una questione di zucchero sì o zucchero no, non è una storia di fissazioni e di bacchettoni senza misura mediana, ma di come piccoli sacrifici possano portare a grandi guadagni. La dolcezza negata può essere, in fondo, la più dolce di tutte. 

Fonti scientifiche: 

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