Psicobiotici, partire dall’intestino per ripristinare l’equilibrio della mente  

Della Dott.ssa Monica Dinu, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Firenze 

Il nostro intestino non è soltanto una “fabbrica” di enzimi e nutrienti, ma ospita un universo composto da trilioni di batteri, funghi, virus e protozoi che costituiscono il microbiota umano. Fin dal momento della nascita, questi microrganismi – insieme al corpo che li ospita – formano un unico sistema biologico, l’“olobionte”, in cui l’organismo fornisce habitat e nutrimento e il microbiota ricambia con servizi fondamentali: dalla digestione delle fibre alla produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), pilastri dell’integrità della barriera intestinale e dell’equilibrio immunitario. 

Nuove scoperte

Negli ultimi vent’anni, la ricerca su questa interazione si è rivelata cruciale non solo per le funzioni metaboliche, ma anche per il collegamento bidirezionale tra intestino e cervello. Attraverso vie neuroendocrine, neuro‑immunitarie e il nervo vago, le alterazioni della composizione batterica possono modificare il comportamento, l’umore e persino le capacità cognitive; allo stesso tempo, stress, emozioni e stili di vita influenzano il microbiota. In questo contesto nasce il concetto di psicobiotici, coniato da Ted Dinan e colleghi nel 2013: si tratta di specifici probiotici vivi che, se assunti in quantità adeguate, esercitano effetti positivi sul sistema nervoso centrale. 

Ma quali sono i meccanismi d’azione degli psicobiotici?

In primo luogo, modulano l’asse ipotalamo‑ipofisi‑surrene riducendo la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e attenuando le reazioni fisiologiche allo stress cronico. Parallelamente, il loro intervento sul sistema immunitario abbassa i livelli di citochine infiammatorie, proteggendo la barriera emato‑encefalica da danni eccessivi. Infine, molti ceppi batterici producono direttamente nell’intestino neurotrasmettitori (GABA, serotonina, dopamina, acetilcolina) e fattori di crescita neurale, contribuendo a regolare umore, memoria e apprendimento. 

Le prove scientifiche, seppur talvolta ancora frammentarie, sono crescenti. Nella depressione maggiore, l’integrazione con il Bifidobacterium breve CCFM1025 ha dimostrato di abbassare in modo significativo i punteggi sulle principali scale depressive, oltre a migliorare la regolarità intestinale e il metabolismo del triptofano. Un altro studio ha evidenziato come il Lactobacillus plantarum 299v, associato ai comuni farmaci antidepressivi, potenzi le funzioni cognitive e riduca i livelli di kynurenina, un biomarcatore dello stress ossidativo.  

Psicobiotici e disturbi d’ansia

Anche nei disturbi d’ansia si registrano risultati incoraggianti: ceppi combinati di Lactobacillus helveticus e Bifidobacterium longum hanno ridotto i sintomi ansiosi e i marker di permeabilità intestinale, mentre in operatori sanitari altamente stressati l’uso di L. paracasei inattivato termicamente ha mostrato un calo marcato del cortisolo e un miglioramento della percezione dello stress.

Per chi soffre d’insonnia, B. breve CCFM1025 e L. plantarum JYLP‑326 hanno migliorato l’efficacia e la qualità del sonno, favorendo un riposo più profondo. Nei pazienti con lieve deterioramento cognitivo, invece, la somministrazione di Lactobacillus rhamnosus GG ha portato a piccoli ma significativi incrementi in compiti mnemonici e di attenzione.  

Sfide da superare

Nonostante questi risultati promettenti, restano alcune sfide da superare. I protocolli clinici sono spesso eterogenei, con dosaggi, ceppi e durate di trattamento molto variabili, e i numeri dei partecipanti rimangono generalmente contenuti. Per consolidare gli psicobiotici come strumento terapeutico, servono studi multicentrici su larga scala, con coorti diversificate per età, sesso, dieta e stili di vita, che possano validarne l’efficacia e la sicurezza a lungo termine. 

Lo sguardo al futuro, tuttavia, è ottimista grazie alle tecnologie “omiche”. L’analisi metagenomica del microbioma e la metabolomica consentono ormai di profilare in dettaglio la comunità microbica individuale, aprendo la via a una vera medicina di precisione psicobiotica. Immaginiamo di poter prescrivere a ciascun paziente il ceppo più adatto al suo microbiota e di calibrare in modo personalizzato dosaggi e modalità d’uso, sulla base della sua genetica, alimentazione e condizioni ambientali.

In questo modo, i probiotici potranno affiancare – e in alcuni casi prevenire – le terapie tradizionali in disturbi depressivi, ansiosi, neurodegenerativi e oltre. Oggi, il dialogo tra neuroscienze, microbiologia, psichiatria e bioinformatica è all’inizio di una rivoluzione che potrebbe finalmente farci convivere in equilibrio con il nostro “secondo cervello”, ottenendo benefici misurabili sulla salute di mente e corpo. 

Referenza_ Garzone S, Charitos IA, Mandorino M, Maggiore ME, Capozzi L, Cakani B, Dias Lopes GC, Bocchio-Chiavetto L, Colella M. Can We Modulate Our Second Brain and Its Metabolites to Change Our Mood? A Systematic Review on Efficacy, Mechanisms, and Future Directions of “Psychobiotics”. Int J Mol Sci. 2025;26:1972.  

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