Il linguaggio del sangue 

Come i metaboliti svelano la nostra dipendenza dai cibi ultra-processati 

Cosa mangiamo ogni giorno?  

Sembra una domanda semplice e scontata. Ma la risposta è tutt’altro che ovvia, soprattutto quando si tratta di quantificare il nostro consumo di “cibi ultra-processati”. Fino a oggi, gli studi sull’alimentazione si sono basati quasi sempre su questionari: strumenti soggetti a errori, dimenticanze e abbellimenti. Ora, però, la scienza fa un passo avanti: un nuovo studio ha identificato dei metaboliti – molecole presenti nel sangue e nelle urine – che possono svelare in modo preciso quanto cibo ultra-processato assumiamo. E i risultati non sono affatto rassicuranti. 

Cosa sono i cibi ultra-processati? 

Il termine “cibi ultra-processati” non è un’etichetta generica. È una categoria definita nel sistema NOVA, una classificazione alimentare ideata da ricercatori brasiliani nel 2009, ormai ampiamente riconosciuta in ambito scientifico. 

I cibi ultra-processati (UPF, dall’inglese Ultra-Processed Foods) includono: 

  • merendine confezionate 
  • cereali zuccherati 
  • bibite gassate 
  • snack salati 
  • piatti pronti surgelati 
  • pane industriale con additivi 

Sono alimenti che subiscono numerose trasformazioni industriali e contengono ingredienti che non useremmo mai in casa: emulsionanti, coloranti, aromi artificiali, edulcoranti, conservanti. Il problema? Non solo mancano di valore nutritivo, ma il loro consumo è fortemente associato a un aumento del rischio di obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, e persino depressione. 

Lo studio: un approccio oggettivo 

Il problema principale nella ricerca nutrizionale è che i dati dietetici sono spesso inaffidabili. I questionari alimentari sono soggettivi, spesso imprecisi e dipendono dalla memoria delle persone. Così, un gruppo di ricercatori guidati da Erikka Loftfield del National Cancer Institute ha deciso di cercare una misura più oggettiva: i metaboliti. 

I metaboliti sono minuscole molecole prodotte quando il nostro corpo metabolizza (cioè digerisce, trasforma e utilizza) ciò che mangiamo. Sono presenti nel sangue e nelle urine e, come impronte digitali, raccontano ciò che abbiamo introdotto nel nostro organismo. 

I dati raccolti 

Lo studio ha coinvolto 718 adulti statunitensi, con età compresa tra 50 e 74 anni. I ricercatori hanno: 

  1. raccolto campioni di sangue e urina, 
  2. registrato i dettagli delle abitudini alimentari dei partecipanti, 
  3. utilizzato modelli di machine learning per cercare correlazioni tra la composizione biochimica e la dieta dichiarata. 

      Cosa è emerso? 

      Secondo i dati, il 50% dell’apporto calorico giornaliero medio dei partecipanti proveniva da cibi ultra-processati. Alcuni ne consumavano solo il 12%, altri addirittura l’82%. 

      Questo dato conferma una tendenza globale preoccupante: nelle economie ad alto reddito, gli UPF stanno sostituendo cibi freschi, integrali e cucinati in casa. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nel Canada, gli UPF rappresentano spesso oltre il 60% delle calorie giornaliere. Anche in Italia – tradizionalmente legata alla dieta mediterranea – l’invasione è in corso. 

      I metaboliti rivelatori 

      Nel sangue e nelle urine dei partecipanti che consumavano molti UPF, i ricercatori hanno trovato tracce biochimiche distintive, tra cui: 

      • Metaboliti legati al diabete di tipo 2: alcuni marcatori riscontrati sono già noti per la loro associazione con una maggiore resistenza insulinica. 
      • Sostanze derivanti da imballaggi alimentari: molecole che non provengono dal cibo in sé, ma dal contatto del cibo con contenitori in plastica o carta trattata. 
      • Ridotta presenza di metaboliti “buoni”: le urine di chi consumava più UPF contenevano meno metaboliti derivati da frutta, verdura e cereali integrali – un segnale di diete povere di alimenti naturali e contenenti quantità sufficienti di fibra. 

      Perché questi risultati contano 

      Fino ad oggi, era difficile dimostrare scientificamente – al di fuori di studi clinici controllati – quanto una dieta ultra-processata potesse influenzare la salute. Ma i biomarcatori cambiano le regole del gioco. 

      Monitoraggio oggettivo 

      I biomarcatori consentono di: 

      • misurare con precisione la qualità della dieta, 
      • monitorare nel tempo gli effetti di interventi alimentari, 
      • superare i limiti dei questionari, che sottostimano il consumo di snack e junk food. 

      In pratica, possiamo sapere davvero cosa mangiamo – e come questo ci sta cambiando dentro. 

      Implicazioni per la salute pubblica 

      I dati sono chiari: mangiare molti UPF altera il nostro metabolismo in modo misurabile. Ma quali sono le conseguenze nel lungo periodo? Numerosi studi precedenti, tra cui quello francese NutriNet-Santé, hanno legato l’alto consumo di UPF a un rischio maggiore di: 

      • obesità (+50% di rischio in grandi consumatori), 
      • malattie cardiovascolari (+30-40%), 
      • tumori del colon-retto
      • depressione e ansia (forse legati a infiammazione cronica e alterazioni del microbiota). 

      Se i biomarcatori si dimostrano affidabili anche in studi futuri, potrebbero diventare strumenti fondamentali per prevenzione, diagnosi precoce e persino personalizzazione della dieta. 

      Le prossime sfide 

      Lo studio ha anche dei limiti. I campioni analizzati provengono da una popolazione di mezza età e non rappresentano tutte le etnie o fasce sociali. Inoltre, i biomarcatori possono indicare correlazioni, ma non sempre causazione. 

      Serve quindi: 

      • ampliare i campioni, 
      • standardizzare i metodi di analisi, 
      • validare i biomarcatori in contesti clinici e internazionali. 

      Conclusione: la dieta ci plasma, molecola dopo molecola 

      Quello che mangiamo diventa parte di noi. Non solo in senso simbolico, ma biochimico. I metaboliti scoperti da Loftfield e colleghi ci dicono che i cibi ultra-processati lasciano una firma nel nostro corpo – e non è una firma benefica. 

      La ricerca apre una nuova era della nutrizione, in cui non dovremo più fidarci solo delle parole delle persone, ma potremo leggere direttamente ciò che il corpo ci racconta. E forse, proprio questa consapevolezza ci aiuterà a fare scelte migliori, prima che sia troppo tardi. 

      Fonti:  Nature – Metabolites in blood and urine reveal ultra-processed food intake 
       

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