Effetto Nocebo, gemello cattivo del placebo 

Sindrome dell’intestino irritabile e intolleranza al glutine 

VeS WEB intervista Francesco Fratto, farmacista e lifestyle coach. Autore di “Intestino senza pensieri”.

Francesco, grazie per aver accettato il nostro invito! Nel tuo articolo esplori un tema intrigante: l’effetto nocebo e la sua relazione con la sindrome dell’intestino irritabile (IBS). Per cominciare, puoi spiegarci cosa si intende per effetto nocebo? 

«Il nocebo è il “gemello cattivo” del placebo. Mentre quest’ultimo ci fa sentire meglio grazie al potere della suggestione positiva – pensiamo che una cura funzioni, e spesso funziona davvero – il nocebo agisce in senso opposto. In pratica, ci convinciamo che qualcosa ci farà male, e il nostro corpo reagisce di conseguenza, anche se quella cosa è del tutto innocua. 

Nel caso dell’IBS, molte persone si convincono che certi alimenti – come il glutine o il grano – siano responsabili dei loro sintomi. Questa convinzione può essere così forte da provocare effettivamente malesseri gastrointestinali, anche in assenza di una reale intolleranza o sensibilità». 

Puoi raccontarci degli studi che hai citato nel tuo articolo? Cosa rivelano sulla relazione tra glutine e IBS? 

«Uno studio condotto dalla McMaster University è particolarmente illuminante. I ricercatori hanno diviso i pazienti con IBS in due gruppi: al primo hanno dato cibo contenente glutine o grano; al secondo, invece, hanno dato cibo completamente privo di glutine, dicendo però che ne conteneva. 

I risultati sono stati sorprendenti. I sintomi del secondo gruppo – quello che credeva di aver consumato glutine – erano simili a quelli del primo gruppo, che invece lo aveva consumato davvero. Questo dimostra che, in molti casi, il glutine non è il vero colpevole, ma è la percezione che lo sia a scatenare i sintomi». 

Sindrome dell’intestino irritabile, cos’è? 

Si parla disindrome dell’intestino irritabile, chiamata anche del colon irritabile o colite spastica, con acronimo IBS (irritable bowel syndrome) quando il soggetto presenta una concomitanza di disturbi intestinali che interessano il colon, ovvero il tratto ultimo dell’intestino crasso. Si tratta di una sindrome che tende ad essere cronica

Ad esserne interessato è il 10% della popolazione, con una prevalenza delle donne in una età che oscilla tra i 20 anni e i 50 anni. Si tratta di una sindrome nettamente diversa rispetto ad altre patologie infiammatorie che possono interessare l’intestino, com’è il caso del morbo di Crohn, poiché l’intestino non risulta avere nessuna anomalia. 

Quando interessano la popolazione femminile, i sintomi sembrano avere una frequenza maggiore durante le mestruazioni e, in alcuni casi, durante la gravidanza

È davvero interessante. Ma perché il glutine è così spesso demonizzato? 

«Il glutine è diventato il “nemico pubblico numero uno” per diversi motivi. Da un lato, è facile da identificare e isolare nella dieta, il che lo rende un comodo bersaglio. Dall’altro, c’è molta disinformazione. Spesso lo si confonde con altre componenti del grano, come i carboidrati fermentabili o le proteine immunostimolanti, che possono effettivamente aggravare i sintomi dell’IBS. 

Purtroppo, molte informazioni sono distorte o fuori contesto e alimentano paure immotivate. Questo non aiuta chi soffre di IBS, che già deve affrontare un quadro clinico complicato e spesso riceve indicazioni contrastanti». 

Hai accennato a un aspetto curioso: anche quando i pazienti scoprono che il glutine non è la causa del loro malessere, continuano a evitarlo. Perché? 

«È vero. Lo studio della McMaster University ha evidenziato che, anche dopo essere stati informati del fatto che il glutine non era responsabile dei loro sintomi, molti pazienti hanno continuato a evitarlo. Questo accade perché le convinzioni profonde sono difficili da modificare. 

Non si tratta solo di “sapere” qualcosa, ma di ristrutturare il proprio rapporto con il cibo, che spesso è legato a emozioni, abitudini ed esperienze personali. La mente gioca un ruolo centrale: se siamo convinti che qualcosa ci faccia male, il nostro corpo risponderà di conseguenza». 

Quali strategie possono aiutare chi soffre di IBS a gestire meglio la propria condizione? 

«È fondamentale adottare un approccio integrato, che consideri sia il corpo sia la mente. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) basata sull’esposizione, ad esempio, si è dimostrata molto efficace. In sole cinque sessioni, aiuta i pazienti a modificare le loro convinzioni e a migliorare significativamente i sintomi. 

Ma non basta. È altrettanto importante lavorare su quattro pilastri: 

  1. Il sonno: dormire bene è la base per un corpo in equilibrio. 
  1. L’alimentazione: seguire una dieta bilanciata, evitando estremismi e mode. 
  1. L’attività fisica: il movimento aiuta a ridurre lo stress e migliora la salute generale. 
  1. La gestione dello stress: tecniche come la mindfulness o la meditazione possono fare una grande differenza». 

Un’ultima domanda: cosa consiglieresti a chi si sente sopraffatto da informazioni contraddittorie e rimedi miracolosi? 

«Il mio consiglio è di non affidarsi alle mode o ai rimedi fai-da-te. Rivolgetevi a professionisti qualificati che possano guidarvi con un approccio scientifico e personalizzato. E, soprattutto, abbiate pazienza. Gestire l’IBS richiede tempo, ma è possibile migliorare, un passo alla volta». 

Fonte:  

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